Non solo ricette e vini, l'autentico enogastronomo studia la geopoetica
E’ così che descrive il cuore del mestiere, ciò da cui tutto
nasce, Paolo Tegoni, enogastronomo di Parma, docente di ‘Cultura della
gastronomia’ all’Università di Parma, di ‘Terroir ed enografia
italiana’ presso l’MBA Food& Wine dell’Università di Bologna e di ‘Cultura
delle eccellenze enogastronomiche italiane’ all’Istituto universitario
salesiano di Venezia.
«Con questa “banalizzazione” del settore sfornata da
numerosi programmi televisivi molto in voga oggi – afferma l’esperto – si è
perso il vero senso di una professione che in realtà è molto complessa.
L’enogastronomia è una materia che va molto studiata prima di essere
trasferita. Consideriamo che abbiamo a che fare con un paniere enorme di
prodotti agroalimentari, i quali, uno per uno, vanno collocati nel giusto tempo
e nel giusto spazio. Il secondo passaggio sarà quello di trasferire, appunto,
le conoscenze intorno a questi prodotti a neofiti, appassionati, studenti e conoscitori».
«Quando presentiamo un prodotto – precisa Tegoni – non
possiamo prescindere da due aspetti che lo riguardano: il suo spazio e il suo
tempo. Vale a dire, l’enogastronomo deve essere anche storico e geografo,
poiché quando “trasmette” un prodotto deve comunicare non solo quel prodotto in
senso stretto, ma tutto quello che esso può raccontarci al riguardo del suo
proprio terroir. Oggi lo chiameremmo storytelling,
in realtà è una pratica utilizzata dagli esperti del settore da quando i vari
Veronelli, Monelli e Soldati, appunto,
iniziarono a farlo».
Ma Tegoni, sette anni come steward in Alitalia, mai avrebbe
pensato di diventare un esperto del settore. «Mossi i primi passi da sommelier
a Roma, poi per 5 anni rimasi a Parigi come sommelier professionista. Lì mi si
aprì un mondo e a quest’esperienza risale un imprinting a cui devo molto.
Tornai a Parma e mi laureai in Scienze Gastronomiche. Dopodiché la Facoltà mi
propose di restare per insegnare la materia. Ed eccomi qua».
Il progetto, che ha nome NEMO (acronimo per Never Ending
Malvasia Odyssey) è partito da un anno e, come rivela il nome, non avrà mai
fine. «Perché così è l’enogastronomia – conclude lo studioso – sempre in
divenire, sempre in cammino, capace di imboccare strade che nemmeno ci
immaginiamo».
In: La Voce di Reggio, 5 novembre 2017
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