Osteria al Cavaliere, la tradizione reggiana sposa il concetto di cucina globale firmato Gualtiero Marchesi
La più profonda tradizione culinaria reggiana
“contaminata” dal concetto di “cucina globale” firmata Gualtiero Marchesi. La
possiamo sintetizzare così la cucina di Paolo Ziveri, chef e proprietario del
ristorante Osteria al cavaliere, a Montecchio Emilia.
Figlio “d’arte” (il papà Claudio ha un
prosciuttificio a Tortiano di Montechiarugolo, nel cuore della Food Valley), dopo
il diploma in elettronica e telecomunicazione, Ziveri si iscrive ad Alma, la
Scuola internazionale di cucina a Parma.
Qui, nonno Ideo aveva una stalla di bovine da
latte, la vigna e l’acetaia. Oggi la stalla, completamente ristrutturata,
ospita la sala ristorante, il vigneto è stato reimpiantato e conferisce l’uva
alla cantina, mentre l’acetaia, con 10 batterie, è prossima a compiere 12 anni
e quindi a richiedere la certificazione al Consorzio dell’Aceto Balsamico
Tradizionale di Reggio.
Nasce dunque così l’Osteria al Cavaliere.
Quando entri, a colpire subito è l’atmosfera calda, intima e accogliente di una
sala che non contiene più di 35 posti a sedere. La filosofia è quella del
“curare pochi clienti e bene”. Il menù si rivela una bella sorpresa, perché è
una sintesi della nostra migliore tradizione reggiana. Il modus operandi è
ancora migliore, perché ispirato, appunto, all’ars culinaria di Marchesi: rispetto
reverenziale per la materia prima, che deve essere di qualità, esaltata e mai
stravolta.
Cosa ha lasciato dunque l’esperienza milanese
con Marchesi? Risponde Ziveri: «Ho appreso le tecniche innovative e il modo in
cui applicarle alla mia tradizione. Ma il concetto che più ho interiorizzato è proprio
quello del maestro: non cibarsi, ma emozionarsi. Cominciando da grandi materie
prime, abbinamenti tendenti alla perfezione, gioco equilibrato di consistenze e
contrasti. Qui in Emilia abbiamo gioco facile».
Da Milano Ziveri non poteva non portare con sé
il risotto. E, ispirandosi alla famosa creazione del Riso oro zafferano, oggi
nel suo ristorante propone uno speciale risotto con gorgonzola, pere e aceto
balsamico.
Tra i primi, non potevano mancare i tortelli
d’erbetta, di zucca e i tortelli verdi reggiani, anolini in brodo e tagliatella
casereccia.
Nella lista dei secondi, il bollito misto dello
chef è un must: «E’ un piatto della tradizione con cui sono cresciuto»,
racconta. «Quando lo metti in tavola, fa subito festa. Io uso cappello del
prete, lingua, testina, costina di maiale, cotechino e zampone, oltre
all’immancabile “pieno” fatto, come vuole la tradizione, appunto, con uovo,
pane e formaggio».
A stupire sono poi la Rosticciana, il trancio
di costine di maiale con contorno agrodolce, e i Ganassini di maiale sfumati al
lambrusco con profumo di limone. Entrambi, scottati alla brace, vengono fatti
cuocere nel forno tutta la notte. Il risultato sorprende il commensale per la
morbidezza e l’equilibrio tra i contrasti. Da non perdere anche la Tagliata ai
tre Sali.
La Carta dei vini conta circa 200 etichette. Si
parte dal “km 0” – i nostrani – per spaziare un po’ in tutto il Bel Paese, fino
a una piccola carta di Champagne.
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