Non solo vino. Storie, passioni e tradizioni nascoste nelle bottiglie dei produttori reggiani

Tra gli esempi di imprenditorialità che
offre il nostro territorio non c’è che da scegliere.
Oggi Barbaterre produce nel complesso
30mila bottiglie. La passione di Erika per le bollicine («le amo come la mia
stessa vita», dice) l’ha portata a scegliere la “strada meno battuta”. «Abbiamo
scommesso, oltre che sul lambrusco, sul Marzemino rosato dell’Emilia, che
abbiamo chiamato “Besmein”, il suo nome in dialetto reggiano. Proviene
esclusivamente da uve di Marzemino. Un’altra scommessa è stata anche il Sauvignon
frizzante, che da uve Sauvignon 100% diventa un vino ancestrale».
Per il metodo classico Barbaterre
vinifica in rosè. Il risultato è un Pinot Nero, «non un “rosatello” di quelli
che vanno tanto di moda da alcuni anni – specifica Tagliavini, che in cantina è
aiutata dall’enologo Paolo Posenato -, ma un’uva Rosé tra le più adatte a produrre
vini con le bollicine. Ed è proprio dai terreni di calanchi, mediamente
argillosi, che derivano quella sapidità, mineralità e struttura che rendono
originali questi vini».
Se dalle colline di Quattro Castella ci
spostiamo nella valle dell’Enza, ci imbattiamo nella storia di una “famiglia
nata per fare il vino”, la Medici Ermete.
Tutto iniziò con il capostipite Remigio, che
a fine Ottocento fondò una cantina per valorizzare i vigneti di famiglia,
ubicati appunto fra la via Emilia e i primi rilievi della valle dell’Enza. Il
figlio Ermete ingrandì l’azienda consolidandone la fama e i nipoti Valter e
Giorgio ne diffusero ulteriormente il marchio. Oggi la Medici, che conta 75 ha
di appezzamenti in proprietà, è guidata dalla quarta generazione di famiglia: i
fratelli Alberto e Alessandra e il loro cugino Pierluigi.
La vera innovazione dell’azienda
è consistita nel credere fortissimamente nel territorio. «Negli anni ’80 –
racconta Giorgio Medici – decidemmo di piantare vigneti propri, produrre le nostre
uve e venderne il vino. Fu così che nacque il nostro prodotto di punta: il
Concerto. Per quei tempi fu una vera follia, perché nelle aziende vinicole si
imbottigliava il vino di uva acquistata».
Con una produzione di
circa 150mila bottiglie, il Concerto, che per l’ottavo anno consecutivo ha
ottenuto i Tre Bicchieri del Gambero Rosso, è prodotto da sempre con sole uve
lambrusco salamino e vigneti cru delimitati del territorio d’origine.
Da non dimenticare il Daphne
Malvasia di Candia in purezza metodo Charmat (15.000 bottiglie), le cui uve
provengono da vitigni cresciuti unicamente presso la Tenuta di famiglia
"La Rampata", e il Granconcerto Rosso Brut (2.500 bottiglie), che altro
non è che il Concerto in versione metodo classico 100% salamino in purezza.
E proprio la costanza nel
raccontare l’idea di un lambrusco secco prodotto da uve di proprietà e
caratterizzato dal legame inscindibile tra vino e territorio ha premiato
l’azienda, che realizza infatti una quota export del 72% in 70 paesi del mondo,
in primis Germania, Stati Uniti, Giappone, Spagna, Russia e Brasile. E’ presente
in alcuni dei locali e delle enoteche più prestigiosi al mondo, dagli stellati
Michelin al londinese Harrods.
Un altro modello ancora è quello
rappresentato da Emilia Wines, che ha scelto la forma della cooperazione per
operare e produrre con grandi volumi.
Nata alla fine del 2013 dalla fusione fra
la cantina di Prato di Correggio, la Nuova di Correggio e quella di Arceto,
oggi Emilia Wines conta oltre 700 soci distribuiti in 1500 ettari tra la via Emilia
e l’Appennino, in una terra di mezzo tra due fiumi, il Secchia e l’Enza. La
cantina lavora 375mila q di uva.
Come racconta il presidente, Davide
Frascari, «l’obiettivo era affrontare in modo organizzato i mercati esteri,
cosa che non avremmo potuto fare da soli. Stiamo puntando sul Giappone, in
primis, e continueremo su mercati come Usa e Germania».
E’ in progetto un’ulteriore
valorizzazione della Spergola con la creazione a Reggio di una zona per la
DOCG, mentre prosegue la produzione del Migliolungo, uvaggio di diverse varietà
di lambruschi antichi, in convenzione con l’Istituto Zanelli.
In: La Voce di Reggio, 2 aprile 2017, speciale Vinitaly
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