Il Consorzio di Garanzia del Suino Italiano è pronto per la sua fase operativa
In Rivista di Suinicoltura 3-2017
Dopo due anni di preparativi, il
Consorzio di Garanzia del Suino Italiano, ente di tutela che vuole riunire tutti i suinicoltori italiani e dare
voce alla categoria nei tavoli di filiera, è costituito ufficialmente con
atto notarile ed è pronto per passare alla sua fase operativa. I prossimi passi
saranno rivolti a organizzare riunioni zonali con gli allevatori, a prendere
contatti con i Consorzi del prosciutto di Parma e di San Daniele e a definire
una campagna pubblicitaria in accordo con i soci per informare il consumatore
finale.
Supportato dall’appoggio
trasversale di tutte le organizzazioni sindacali italiane, il Consorzio, che ha
firmato l’atto costitutivo il 9 febbraio dinnanzi al notaio Massimo Bertolucci
di Mantova, inizia la propria attività con un’adesione di 40 allevatori. A
questi corrispondono 127 allevamenti distribuiti tra Piemonte,
Lombardia, Veneto ed Emilia, pari
ad una consistenza di circa 20.500 scrofe e 320.000 ingrassi che, secondo una
prima stima, genereranno una movimentazione verso i macelli di circa 600.000
suini grassi e quasi 500.000 lattoni/anno.
Come stabilito nell’atto, alla
presidenza dell’ente di tutela è stato eletto Giuseppe Ferrari, allevatore di
Gàmbara (BS) da cui è partita l’idea, e alla vicepresidenza sono stati eletti i
suoi colleghi Omar Gobbi e Antonio Catalano, allevatori rispettivamente di Leno
(BS) e Potenza.
In occasione della
presentazione alla stampa nella sede del MAMU di Mantova il 9 febbraio, il neopresidente
Ferrari ha riferito: «Per la prima volta disporremo di un marchio e di un
disciplinare di produzione per un suino al 100% italiano con l’obiettivo di
tutelarci dall’import e dalla concorrenza estera. Saremo aperti alle esigenze
del consumatore, in primis a tematiche che richiamano la sensibilità pubblica
come il benessere animale, l’Ogm free e la riduzione delle terapie antibiotiche».
Quindi il presidente ha illustrato
nel dettaglio quali sono gli obiettivi del Consorzio: «Garantire il made in
Italy al 100%, nella fattispecie le scrofaie e l’ingrasso dove si allevano suini
nati e allevati in Italia, significa tutelare gli allevatori dall’importazione
estera e da tutto ciò che si può definire “falso italiano”. Noi allevatori subiamo
costantemente una concorrenza estera micidiale. Pensiamo solo al fatto che
importiamo 60 milioni di cosce e che ne produciamo 22 milioni. I trasformatori
giustamente fanno il proprio interesse in modo assolutamente legale, importando
e vendendo il prodotto estero sotto forma di made in Italy, perché la legge glielo
permette. Tutto questo per dire che anche noi dobbiamo tutelare i nostri
interessi. Come? Investendo un po’ di soldi e di tempo in questa operazione».
Il secondo obiettivo dell’ente
di tutela, ha proseguito Ferrari, «è quello di rappresentare i produttori
all’interno della filiera. Il Consorzio è aperto a tutti gli allevatori che
posseggono il requisito di italianità al 100% e che producono carne di qualità.
Chi produce suini che derivano dal prosciutto Dop Parma e San Daniele e in
generale tutte le Dop sono già in possesso di tutti i requisiti per entrare a
pieno diritto nel Consorzio».
Terzo obiettivo è quello di
creare un marchio quindi anche un disciplinare di produzione. «Certificando il
proprio prodotto - ha affermato Ferrari – gli allevatori avranno un marchio da
poter pubblicizzare a livello nazionale. Questo potrà essere spendibile sia in
Italia sia all’estero. Sarà un marchio che andrà ad aggiungersi ai vari marchi
privati, perché è una garanzia che diamo noi allevatori al consumatore. Per
informare quest’ultimo, prevediamo di mettere in campo una campagna
pubblicitaria con i soci volta a far capire il prodotto a disposizione e come è
completamente diverso da quello estero. Poiché al momento la legge non ci
tutela (non c’è ancora l’obbligo di scrivere la provenienza dell’animale sull’etichetta),
dobbiamo essere noi a pensarci. Questo è quello che ancora fino ad oggi non è
stato fatto e che nasce oggi. Ma è anche l’unico modo in cui gli allevatori possono
diventare protagonisti del proprio lavoro, perché fino ad oggi, in questo film,
siamo stati solo delle comparse. Basti pensare che all’interno dei Consorzi a
cui aderiamo, non figuriamo nemmeno come soci».
A questo proposito Ferrari ha puntualizzato:
«Il Consorzio di Garanzia del Suino Italiano non si pone in contrapposizione
con i Consorzi del Parma, del San Daniele o delle Dop. Tradotto in altri
termini, ciò significa che i Consorzi andranno avanti a produrre la loro coscia
e a certificarla, mentre noi certificheremo la carne che non viene certificata
da loro. In occasione della prima convocazione del cda, proporrò al consiglio di
contattare i Consorzi del Parma e del San Daniele per proporre loro un accordo
in cui ci impegneremo a lasciare la valorizzazione delle cosce alle Dop esistenti
nelle regioni accreditate».
Ad oggi il Consorzio ha
ottenuto l’appoggio trasversale di tutte le organizzazioni sindacali, dell’associazione
di mangimifici Assalzoo, dai macelli Prosus e Opas. Anche da Assica è giunto il
plauso dai vertici, che all’incontro di Mantova sedevano tra il pubblico.
Per Mario Guidi, presidente
nazionale di Confagricoltura, sarà difficile che un imprenditore zootecnico si
dica contrario all’iniziativa: «Finalmente un’idea di questo genere è partita
dagli allevatori – ha specificato il presidente di Confagricoltura -, animati
dallo scopo di certificare un prodotto di qualità a vantaggio del consumatore,
prima ancora che della loro redditività. In un’organizzazione fatta da
imprenditori, le professionali hanno il ruolo di supporto esterno».
Ha proseguito Guidi: «Pochi
giorni fa mi trovavo a Bruxelles e il tema della discussione era: come si
garantiscono la qualità dell’allevamento e la sostenibilità ambientale e come
si rassicura il consumatore. Quest’ultimo lo vedo molto bersagliato da processi
comunicativi e personalmente, da
agricoltore quale sono, non riesco a vedere chi degli allevatori potrebbe dire
no a questo progetto e non considerare in maniera positiva uno strumento “degli
allevatori”. Se qualche contrario ci sarà, sarà più un problema di gabbia
mentale che di altro. Da parte nostra, avrete tutto quello che vi serve per
creare l’ambiente favorevole affinché questo Consorzio sia divulgato al massimo
tra gli allevatori».
Paolo Carra, presidente di
Coldiretti Mantova, pur rivolgendo l’attenzione alla fase delicata della
stesura del disciplinare di produzione, ha plaudito all’iniziativa: «E’ giusto
che oggi siamo qui tutti insieme. A me non preoccupano le divisioni, l’importante
è che l’iniziativa sia finalizzata ad un percorso di valorizzazione del suino,
perché sono ormai almeno 15 anni che facciamo notare come i prosciutti non siano
più sufficienti a pagare la carcassa. E ci siamo sempre chiesti quale poteva
essere il mezzo per poter valorizzare il resto. L’unico punto di caduta potrebbe
essere il disciplinare produttivo. Da questo punto di vista reputo necessario svolgere
una profonda discussione per capire come scriverlo, dopodiché tutto sarà
fattibile. Da parte nostra l’iniziativa è condivisa e apprezzata».
Per Mario Lanzi, direttore di
Cia Lombardia Est, il problema sarà
ridurre costi e burocrazia: «L’iniziativa va condivisa – ha commentato Lanzi -
, il fatto che la scommessa si faccia per le carni al di là del valore delle
Dop è molto impegnativo perché, se riusciamo a portare valore aggiunto ma poi
non riusciamo a capitalizzarlo, rimaniamo delusi ancora e più di prima. Va poi
considerato il fatto che andiamo a tracciare delle carni che dobbiamo cercare
di collocare in un mercato diverso. Per cui serve, da parte delle istituzioni
nazionali ma soprattutto comunitarie, la volontà di valorizzare l’italianità su
un mercato che sia in grado di pagare il prodotto. La preoccupazione è quella di
riuscire a tracciare le carni riducendo costi e burocrazia».
In ogni caso, come ha affermato
Alessandro Baronchelli, presidente di Copagri Brescia e responsabile nazionale
del settore zootecnico, «se ci saranno problemi, come è possibile, si tratta
pur sempre di una scommessa che cercheremo di portare avanti insieme
nell’interesse dei nostri allevatori. Quando ne abbiamo parlato con il Comitato
promotore, abbiamo dato il nostro appoggio incondizionato. Quello che ci piace
è che si tratta di un progetto degli agricoltori per gli agricoltori. Mi fanno
piacere le parole della Regione Lombardia che ha confermato la propria presenza
in questa partita. Ci dobbiamo mettere in gioco per qualcosa di nuovo».
Impegnato alla Camera, l’on. Marco
Carra, ha inviato un messaggio al neopresidente del Consorzio del Suino
Italiano Garantito: «Confermo l’apprezzamento per quanto state facendo
riuscendo a costruire una sostanziale unità del mondo agricolo. Per quanto mi
riguarda e per quello che potrò fare, consideratemi al vostro fianco, sia nella
relazione col Parlamento, in particolare con la Commissione Agricoltura della
Camera, sia in quella con il Governo e con il Ministero delle Politiche
Agricole. Iniziative come la vostra, tese a valorizzare l’italianità del suino
nella sua trasformazione, meritano grande attenzione da parte della politica e
delle istituzioni, a maggior ragione dopo la recente approvazione del governo e
del Parlamento dei provvedimenti che hanno avuto l’obiettivo di rilanciare il
made in Italy attraverso l’introduzione dell’etichettatura della carta
d’identità del prodotto».
Da Lorenzo Fontanesi,
vicepresidente di Opas, che ha dato il proprio appoggio al progetto, è giunto
l’invito a scegliere la via non della mediazione, ma della decisione: «L’iniziativa
è valida perché quello che riguarda la valorizzazione degli altri tagli è un
problema che ci trasciniamo da tempo. Rimane la perplessità sull’adesione di un
numero elevato di allevatori. Cercare la condivisione è cosa buona, ma
difficile e a volte mediare non premia. Quindi se c’è un’idea – e mi pare
proprio ci sia –, l’invito è di portarla avanti in modo chiaro e deciso. Chi ci
crede seguirà questo progetto, chi non ci crede sceglierà un’altra strada».
Ha concluso Franco Caffi, di Prosus:
«Il concetto di base di questa iniziativa è il nostro must da anni. Quando si
parla di valorizzazione degli altri tagli, si sfonda una porta spalancata,
perché un’azienda cooperativa non può che essere d’accordo con iniziative di
questo tipo. L’insuccesso del Gran Suino Padano ha lasciato un brutto ricordo
in tante aziende agricole: questa iniziativa, che è diversa, auspichiamo che
abbia il successo che si merita».
Per gli allevatori proprietari
di animali la quota d’iscrizione al Consorzio del Gran Suino Italiano Garantito
è di 500 euro, mentre per i soccidari è di 100 euro. Titolari della
certificazione del Consorzio saranno gli allevatori, siano essi proprietari e/o
soccidari. Lo statuto prevede un consiglio direttivo formato da 11 consiglieri,
di cui 4 in rappresentanza dei cicli chiusi, 3 delle scrofaie, 3 degli
ingrassatori e 1 dei soccidari.
Dal tavolo dei relatori al MAMU
di Mantova, Gianni Fava, assessore all’Agricoltura della Regione Lombardia,
prima realtà italiana per produzione di capi (circa 4,6 milioni di animali), sul
Consorzio ha commentato: «Come istituzione abbiamo più volte sollecitato
iniziative di questo tipo. Il progetto del Consorzio è molto ambizioso, perché
di per sé è molto ambiziosa l’idea di qualificare e garantire una filiera. Qui
stiamo parlando del nato, allevato e cresciuto in Italia. Per una regione come
la Lombardia che produce il 40% della materia prima italiana ciò è
fondamentale. Il calo delle scrofaie negli ultimi anni è un dato che ci ha
spaventato e preoccupato e che ha lasciato anche qualche conseguenza: oggi per
fortuna il mercato è tornato a dare qualche segnale diverso».
E sul fenomeno in aumento dei
consumatori sempre più attenti alla provenienza delle carni, Fava, supportato
da una serie di dati visionati in sede europea a Bruxelles, ha sottolineato
come «il consumatore di carne suina oggi chiede essenzialmente tre cose: il
benessere animale (il governo tedesco ha
promulgato di recente una legge con cui incentiva la nascita di un marchio che
garantisca il benessere animale), l’antibiotic-free ovvero la certezza che
l’uso degli antibiotici sia molto limitato, e la sostenibilità ambientale. Se
riusciremo a mettere insieme queste tre cose e parimenti a garantire che tutto
avvenga in un ciclo chiuso dove il suino è nato, allevato e cresciuto in Italia
garantendo tutto il ciclo di vita dell’animale, allora sarà un traguardo
tagliato. Solo se riuscirete a dare questo tipo di risposte al mercato,
probabilmente sarete in grado di fermare l’emorragia di consumi che c’è stata
in questi anni».
E Fava ha concluso confermando «pieno
appoggio e sostegno all’iniziativa. Mi auguro – ma lo avete già precisato voi –
che non sia l’ennesima iniziativa in contrapposizione a quella degli altri.
Questo è un punto di partenza, che tra l’altro si colloca in una fase di prezzo
del suino abbastanza buona che non vede logiche di costituzione emergenziali. Non
mancherà l’appoggio dell’amministrazione, se diventerà uno strumento inclusivo,
di tutti gli allevatori. In questa fase, più che mai, c’è bisogno di unità e
non di contrapposizione».
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