Bamboccioni ...
Il concetto non era nuovo. Tuttavia, l'espressione colorita usata da Tommaso Padoa-Schioppa, "mandiamo i bamboccioni fuori di casa", ha fatto discutere per giorni la stampa nazionale. Davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, il ministro si stava riferendo all’aiuto di 1.000 euro, previsto in Finanziaria, per i giovani che intendono prendere un appartamento in affitto. E questo ci riporta diritti
al cuore del problema.
Come nascono questi "bamboccioni"? Da una mentalità tutta "italiana" che vuole i nostri giovani perenni coinquilini di mamma e papà per pura convenienza, mammoni e privi di spirito di sacrificio? Oppure da una politica che fa pagare i conti proprio ai più giovani, costretti a vivere di lavoro precario e mal pagato, di affitti astronomici, di agevolazioni statali completamente inesistenti? Oppure da entrambe le cose? Ma allora: viene prima lo Stato o il "bamboccione"? (foto a sin. da: http://www.vivicorato.it/).
Monica Campagnoli, assegnista di ricerca in storia contemporanea all’Università di Bologna, sede di Forlì, racconta: “Non ero bambocciona a 20 anni e sono costretta ad esserlo oggi, a 36. Perchè? Mi trovo a lavorare da otto anni all'Università come precaria, senza contributi, senza sapere se alla scadenza del mio attuale contratto questo mi sarà rinnovato o se dovrò cercarmi tutt'altro lavoro".
"Sono andata a vivere da sola a Bologna a 22 anni. Mio padre mi disse che avrebbe continuato a pagarmi l'Università, ma non i bisogni che comportava la mia scelta di trasferirmi: all'affitto, al cibo e al resto ci avrei pensato io. E così ho fatto, grazie a borse di studio e lavoretti occasionali. Ho diviso l'appartamento con studenti che cambiavano ogni sei/dodici mesi. Cosa mi ha portato questa esperienza? Ho imparato a dire no, a decidere da sola, a diventare ciò che sono oggi, una persona forte e matura".
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Tuttavia, la mia condizione dopo tutti i sacrifici", continua Monica, "è ingiusta: oggi sono iscritta alla categoria dei "bamboccioni senior". Vale a dire, ad oggi, con otto anni di esperienza maturata all'interno dell'Università e dopo molte fatiche, mi viene negato l'accesso al posto fisso da ricercatore. Si preferisce infatti inserire quelli che saranno i precari di domani invece di dare certezze a quelli di oggi. In altre parole: per lo Stato non sono nessuno. Oggi capita che debba ricorrere alla mia famiglia d'origine, perchè non arrivo alla fine del mese. Io temo che abbiamo completamente bucato una generazione: oggi manca lo spirito di sacrificio, e questo lo dobbiamo a noi stessi. Ma se questi giovani sapessero che c'è l'occasione, allora uscirebbero di casa più facilmente. Si parla sempre dell'estero, ma non perchè l'erba del giardino è sempre più verde. Perchè sarebbe un incentivo morale e materiale se lo Stato intervenisse agevolando sul serio quei ragazzi che vogliono uscire di casa per studiare e continuando ad agevolarli una volta pronti ad entrare nel mondo professionale. Io dico: aiutiamo per davvero questi giovani e riformiamo il mondo delle professioni!".
Andrea Gherpelli ha vissuto fino a 24 anni a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, frequentando l'istituto tecnico e gli studi di ingegneria. Quando gli domandiamo il perché di questa scelta, ci risponde: “La Facoltà era vicino a casa e la maggior parte dei miei amici si era iscritta ad ingegneria". A questo punto si darebbe ragione a tutti i Padoa Schioppa del mondo, se non fosse che oggi Gherpelli è un attore di teatro abituato a calcare le scene dei principali palcoscenici italiani. (Foto a ds da http://www.panorama.it/).
“La molla che mi ha fatto lasciare casa, famiglia e amici a 24 anni per trasferirmi nella capitale è stata una presa di coscienza graduale. Ho capito quello che volevo essere ed ho compiuto una scelta. Certo, ha fatto diversi sacrifici, oggi sono un freelance, non lavoro in una compagnia stabile e può accadere di lavorare a due spettacoli insieme come a nessuno. Ma quando torno a casa, ritrovo coetanei che abitano ancora con i genitori, dormono nella cameretta decorata con i poster di Rambo, dove magari portano anche la ragazza. Tutto questo, dopo i 30 anni, è piuttosto innaturale”.
Ma allora di chi è la responsabilità? I cliché sull’Italia all’estero parlano di mamme troppo protettive, di giovani troppo viziati, di sindrome di Peter Pan e di famiglie che tutto permettono ai propri figli. Risponde Gherpelli: “Temo che si tratti anzitutto di responsabilità individuale: oggi i giovani mancano del coraggio di seguire i propri sogni, e così non diventano nessuno, restando solo i figli dei propri genitori. Ma per cambiare questa mentalità, è indispensabile offrire una sicurezza che i giovani italiani di oggi non hanno. Questa responsabilità appartiene solo alle istituzioni”.
Un altro esempio può far riflettere. Rossella Cucco, 31 anni, è nata e cresciuta in una paesino di 4.000 abitanti, Sogliano Cavour, in provincia di Lecce. “Ho sempre sognato di viaggiare, di vivere autonoma e indipendente, di conoscere altre culture. Ho seguito il mio istinto, che mi ha portato a studiare lingue orientali a Venezia, a trascorrere tre mesi in Cina a 21 anni, un semestre in Germania e a fare un corso di specializzazione di sei mesi a Milano. Dopo aver lavorato due anni in un'agenzia di comunicazione, sentivo che la mia voglia di internazionalità non era completamente appagata. Così, ho fatto domanda di tirocinio al Consiglio Europeo di Strasburgo, dove sono rimasta a lavorare tre mesi. Nel frattempo, a Milano, Mattel ha risposto all'invio di un mio curriculum".
Oggi Rossella è felicemente sposata e, dopo una nuova esperienza ad AMD, sta valutando di aprire un'attività propria. "Sono convinta", conclude, "che lo Stato e la politica abbiano le proprie responsabilità sul disagio dei giovani in ambito lavorativo. Tuttavia, credo anche che volere sia potere e che i miei coetanei possano comunque costruire qualcosa anche nel proprio piccolo".
Fabio Pessina, originario di Agrate, in provincia di Milano, a 29 anni desiderava conquistarsi la propria indipendenza e così scelse di trasferirsi in un appartamento pagando l'affitto. "Lavoravo in ST-Microelectronics da otto anni e potevo permettermi un affitto. I primi tempi mi sono sentito un po' spaesato, soprattutto perchè alla sera non c'era nessuno in casa a cui raccontare la mia giornata, ma poi mi sono adattato".
Continua Pessina: "Penso che spesso chi esce di casa lo faccia costretto dal lavoro. Credo che gli ingredienti fondamentali manchino un po' tutti e due: la volontà del singolo e gli aiuti da parte dello Stato. Mi spiego. L'immaturità gioca la sua parte: nel mio giro di conoscenti, ad esempio, uno solo su sei è andato ad abitare da solo. Manca la voglia della sfida, mentre attira avere la "pappa pronta". In ogni caso, l'Italia investe troppo poco su di noi. Manca la volontà politica di migliorare, e intanto gli altri Paesi vanno avanti e noi stiamo arrancando, con fatica".
Insomma, pare che di giovani che si mettono in gioco e cercano la propria strada ce ne siano ancora. E sono proprio il contrario dei "bamboccioni". Non tutto è perduto?
Alessandra Ferretti
In: Espansione, novembre 2007

Come nascono questi "bamboccioni"? Da una mentalità tutta "italiana" che vuole i nostri giovani perenni coinquilini di mamma e papà per pura convenienza, mammoni e privi di spirito di sacrificio? Oppure da una politica che fa pagare i conti proprio ai più giovani, costretti a vivere di lavoro precario e mal pagato, di affitti astronomici, di agevolazioni statali completamente inesistenti? Oppure da entrambe le cose? Ma allora: viene prima lo Stato o il "bamboccione"? (foto a sin. da: http://www.vivicorato.it/).
Monica Campagnoli, assegnista di ricerca in storia contemporanea all’Università di Bologna, sede di Forlì, racconta: “Non ero bambocciona a 20 anni e sono costretta ad esserlo oggi, a 36. Perchè? Mi trovo a lavorare da otto anni all'Università come precaria, senza contributi, senza sapere se alla scadenza del mio attuale contratto questo mi sarà rinnovato o se dovrò cercarmi tutt'altro lavoro".
"Sono andata a vivere da sola a Bologna a 22 anni. Mio padre mi disse che avrebbe continuato a pagarmi l'Università, ma non i bisogni che comportava la mia scelta di trasferirmi: all'affitto, al cibo e al resto ci avrei pensato io. E così ho fatto, grazie a borse di studio e lavoretti occasionali. Ho diviso l'appartamento con studenti che cambiavano ogni sei/dodici mesi. Cosa mi ha portato questa esperienza? Ho imparato a dire no, a decidere da sola, a diventare ciò che sono oggi, una persona forte e matura".
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Andrea Gherpelli ha vissuto fino a 24 anni a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, frequentando l'istituto tecnico e gli studi di ingegneria. Quando gli domandiamo il perché di questa scelta, ci risponde: “La Facoltà era vicino a casa e la maggior parte dei miei amici si era iscritta ad ingegneria". A questo punto si darebbe ragione a tutti i Padoa Schioppa del mondo, se non fosse che oggi Gherpelli è un attore di teatro abituato a calcare le scene dei principali palcoscenici italiani. (Foto a ds da http://www.panorama.it/).

“La molla che mi ha fatto lasciare casa, famiglia e amici a 24 anni per trasferirmi nella capitale è stata una presa di coscienza graduale. Ho capito quello che volevo essere ed ho compiuto una scelta. Certo, ha fatto diversi sacrifici, oggi sono un freelance, non lavoro in una compagnia stabile e può accadere di lavorare a due spettacoli insieme come a nessuno. Ma quando torno a casa, ritrovo coetanei che abitano ancora con i genitori, dormono nella cameretta decorata con i poster di Rambo, dove magari portano anche la ragazza. Tutto questo, dopo i 30 anni, è piuttosto innaturale”.
Ma allora di chi è la responsabilità? I cliché sull’Italia all’estero parlano di mamme troppo protettive, di giovani troppo viziati, di sindrome di Peter Pan e di famiglie che tutto permettono ai propri figli. Risponde Gherpelli: “Temo che si tratti anzitutto di responsabilità individuale: oggi i giovani mancano del coraggio di seguire i propri sogni, e così non diventano nessuno, restando solo i figli dei propri genitori. Ma per cambiare questa mentalità, è indispensabile offrire una sicurezza che i giovani italiani di oggi non hanno. Questa responsabilità appartiene solo alle istituzioni”.
Un altro esempio può far riflettere. Rossella Cucco, 31 anni, è nata e cresciuta in una paesino di 4.000 abitanti, Sogliano Cavour, in provincia di Lecce. “Ho sempre sognato di viaggiare, di vivere autonoma e indipendente, di conoscere altre culture. Ho seguito il mio istinto, che mi ha portato a studiare lingue orientali a Venezia, a trascorrere tre mesi in Cina a 21 anni, un semestre in Germania e a fare un corso di specializzazione di sei mesi a Milano. Dopo aver lavorato due anni in un'agenzia di comunicazione, sentivo che la mia voglia di internazionalità non era completamente appagata. Così, ho fatto domanda di tirocinio al Consiglio Europeo di Strasburgo, dove sono rimasta a lavorare tre mesi. Nel frattempo, a Milano, Mattel ha risposto all'invio di un mio curriculum".

Fabio Pessina, originario di Agrate, in provincia di Milano, a 29 anni desiderava conquistarsi la propria indipendenza e così scelse di trasferirsi in un appartamento pagando l'affitto. "Lavoravo in ST-Microelectronics da otto anni e potevo permettermi un affitto. I primi tempi mi sono sentito un po' spaesato, soprattutto perchè alla sera non c'era nessuno in casa a cui raccontare la mia giornata, ma poi mi sono adattato".
Continua Pessina: "Penso che spesso chi esce di casa lo faccia costretto dal lavoro. Credo che gli ingredienti fondamentali manchino un po' tutti e due: la volontà del singolo e gli aiuti da parte dello Stato. Mi spiego. L'immaturità gioca la sua parte: nel mio giro di conoscenti, ad esempio, uno solo su sei è andato ad abitare da solo. Manca la voglia della sfida, mentre attira avere la "pappa pronta". In ogni caso, l'Italia investe troppo poco su di noi. Manca la volontà politica di migliorare, e intanto gli altri Paesi vanno avanti e noi stiamo arrancando, con fatica".
Insomma, pare che di giovani che si mettono in gioco e cercano la propria strada ce ne siano ancora. E sono proprio il contrario dei "bamboccioni". Non tutto è perduto?
Alessandra Ferretti
In: Espansione, novembre 2007
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